giovedì 1 settembre 2011

Un saluto

Salve, sono tornato.
Per ora posso stare al computer poco tempo, ma questo tempo si dilaterà col passare dei giorni ed allora potrò allargare ed integrare i contenuti di questo blog e di quelli ad esso collegati.
A te che mi leggi, i migliori auguri per tutto ciò che (di lecito) desideri.
Mauro

mercoledì 6 aprile 2011

Impressioni dall'ascolto della 9a sinfonia di Mahler diretta dal M° Pappano con l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia.

La prima riflessione è la meraviglia per la capacità di un uomo di concepire, costruire, tramandare qualcosa di simile.
Il 1° movimento sembra la versione viennese de "La Valse", il 2° (od il 3°, potrei confondermi; controllerò) che esordisce col suo tema un po' grassoccio in contrasto con l'estrema eleganza di movenze del precedente e che si conclude con un'elaborazione cubista di questo tema; il 4°, poi, estremo atto d'amore, lungo abbraccio che si sfina sino a diventare diafano e rarefatto... Come ha potuto Gustav, dopo un adagio di tale sovrumana bellezza, concepire quello della Sinfonia successiva? Non sorprende che dopo tale sublimazione non sia riuscito a completare la Decima. Non conosco i dettagli biografici annessi a questa incompiutezza, ma già solo il raggiungimento dell'estrema propaggine dell'empireo astrale che gli riuscì, rende difficile credere che un essere umano possa trovare dentro di sé le energie per ripartire, per dare una veste diversa, più completa forse (ma da che punto di vista?) al nuovo mondo sonoro che aveva estratto dalle proprie corde più profonde.
La seconda riflessione è dedicata all'esecuzione di eccezionale livello dell'orchestra che dopo 15 anni almeno, dall'ultima volta che l'avevo ascoltata, mi ha sorpreso con un suono caldo, pieno, brillante quando serviva, duttile e, soprattutto, precisa in ogni momento. Non me l'aspettavo; mi ha colpito tanto da distrarmi dalle scelte esecutive di Pappano. Acquisterò il CD, quando uscirà, per poter riascoltare con calma i passaggi, i momenti... e lì concentrarmi meglio sull'interpretazione. E poi, stavolta: "io c'ero!"

venerdì 1 aprile 2011

Nel tempio dell'ombra

Nel tempio dell'ombra
un soffio d'aria
sfuggito alla presa degli alti rami
scende a trafiggerti con un segreto messaggio
da parte del Sole
racchiuso in te stessa.

"In viaggio con la Zia" di Graham Greene

Ho finito di leggere "In viaggio con la Zia" di Graham Greene, uno dei libri più godibili che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni. La vicenda che porta Henry, direttore di banca cinquantenne da poco in pensione, in giro per il mondo alle costole (o "al guinzaglio" ?) della disinvolta Zia Augusta, strappandolo alla sua nebbiosa esistenza inglese ed alla sua passione per la coltivazione delle dalie per gettarlo in una serie di viaggi sempre meno stravaganti e turistici e sempre più equivoci, è un percorso di crescita gestito da un autentico maestro dell'ironia e dell'approfondimento psicologico, dissimulato dall'apparente leggerezza con cui i suoi personaggi frequentano la vita di tutti i giorni.
E' lo stesso autore di "Il nostro agente all'Avana", "I profughi" e tanti altri titoli, in ognuno dei quali mostra la capacità quasi camaleontica di passare da un genere all'altro come se si trattasse di autori diversi.
Greene è uno dei miei autori preferiti e quando trovo un suo libro che mi sembra di non aver letto, lo prendo; strano a dirsi con Greene non mi capita mai di comprare due volte lo stesso titolo, cosa che invece m'accade di frequente con altri. Va detto che oggi le sue opere per lo più non sono roba da libreria, ma piuttosto da bancarella, il che ne rende l'acquisto meno impegnativo, anche se, comunque, non fa mai piacere scoprire che il libro appena acquistato già si trova nella libreria di casa.
In questo caso, come capita con i libri ben scritti con cui si fa amicizia, che fa piacere sentirci parlare in testa, rallentare la lettura verso la fine non è servito a niente, tanto autentica e naturale scorreva la narrazione, da impedire che il corso naturale di quella vita potesse essere alterato in qualcfhe modo dalla maggiore o minore speditezza nel leggerla.
Beh, insomma... Mi aspetto che chi l'ha letto, o lo leggerà, ben poco d'accordo potrà essere con la definizione di "corso naturale di quella vita" da me applicato alla vicenda narrata in questo libro. In effetti lo sguardo di Henry scorre sui fotogrammi dei suoi viaggi con Zia Augusta come quello di un bambino sempre a contatto con paesaggi e persone esotiche e strabilianti, appena temperato dal distacco acquisito ed a lungo esercitato in un passato bancario pluriennale; tutto scorre ad una velocità soggettiva piuttosto "a salti" tanto da far sembrare che un vero fil rouge non ci sia, mentre invece, naturalmente, c'è e non è neanche particolarmente nascosto; la logica del racconto è solo un po' dissimulata e mascherata con così poco impegno da far sembrare superflui certi elementi che poi alla fine si rivelano importanti.
Ho salutato quest'amico che m'ha fatto compagnia per un bel po' di tempo; la malinconia per l'abbandono è in parte stemperata dalla coscienza della sua esistenza e dal fatto che condivido con altri la conoscenza di queste persone: Zia Augusta, Visconti, O'Toole, Wordsworth, eccetera; un giorno incontrerò qualcuno che li ha conosciuti e ne condividerò i ricordi e le impressioni.
Se io fossi Graham Greene mi sentirei particolarmente elogiato dal fatto che qualcuno parla dei personaggi che ha inventato come se si trattasse di persone vere.

martedì 22 marzo 2011

Aggràtise

Ma 'ndò stai, che ffai, che ricconti,
chett'è ssuccèsso, cheppènzi, che speri chette succederà.
Ch'occhi c'hai, come mòvi le mani,
che vvittorie c'hai avuto, che sconfitte?
Me sento 'm po' mmonco a ppenzatte e'n potette chiamà'
co' 'na parola, 'n zòno, 'na bbattuta,
'no sfottò ricambiato co' ll'interessi.
Ma 'ndò stai, che ffai, che ricconti...

Senza enfasi, pìalo pe 'n zaluto,
come quanno se passa 'n treno
pe' 'n posto checcè ssempre piasciuto, dietro ar vetro;
che le case stanno llì,
l'arberi pure;
'a ggente 'n biscicletta,
'e macchinine che sse mòveno pulite e ordinate...
e sse sentimo grati de l'impliscita, incognita carezza all'anima,
dàtasce così,
aggràtise.

Ma 'ndò stai,
che ffai,
che ricconti...

mercoledì 23 febbraio 2011

Chi sa, spesso non conosce

Nan

Chi sa, spesso non conosce
e lascia che vento, pioggia e polvere
sconvolgano il filo dell’esperienza.

Questo dialogo non ha tempo né luogo né vincoli di età o di aspetto;
si dipana cercando il proprio tempo
sotto una pioggia fitta, lieve ed implacabile di sentimenti,
a tratti scompaginato da un vento teso e prepotente.

Chi sa può imparare qualcosa,
o limitarsi a sognare un’insonnia profumata di desiderio,
delirio di pietà per noi stessi
qui
e ora.


Ma tu sai, adesso,
e sei condannata a trascinarti lontano da
dove
quando
come
scegliesti di
non capire
non vedere
non esistere.
Ora non girarti
a cercarmi con lo sguardo
dal tuo mondo parallelo,
separato.
Non fermarti a raggiungere il mio pensiero di allora,
dalla strada che hai percorso.
Non chiudermi nell'abbraccio che non potrò mai impedirmi di darti
con la certezza del profeta
che sia,
ogni volta,
l'ultimo.

lunedì 14 febbraio 2011

San Valentino: il delirio di Romeo

da "Un mazzo di fiori" - 15. scena

Sera. Una panchina in un parco fiocamente illuminato. Sulla panchina siede disperato Romeo, ansimante per la lunga corsa alla ricerca di Giulia che l'ha lasciato a causa di un equivoco diabolico. Alle spalle della panchina una siepe, dietro la quale si nasconde Giulia che ha assistito all'arrivo affranto di Romeo.

ROMEO Parlami, Luna! Dammi gli ultimi suoni che ascolterò. Già il respiro si contrae e torna bambino nel petto, ora che gli orizzonti dorati della vita con lei sono sfumati per sempre…
GIULIA (non controllando la voce) Amore mio!
ROMEO Dea argentata, che splendi tra stelle servili: usi gli accenti dispersi nel cielo dalla donna che amo. Capisco: una nuvola diafana, passando, ne ha trattenuto i suoni vellutati e adesso tu li restituisci per velare il mio dolore con un soffio di misericordia…
GIULIA Ma dunque, tanto m’ami!
ROMEO Più di me stesso e del mio passato.
GIULIA E il futuro?
ROMEO Senza di te il tempo si ferma e niente più accade. Fugge l’attimo, si congela il ruscello, tace il cardellino, cade il silenzio e la notte, distratta, dimentica di cedere il passo al giorno…
GIULIA Ma il sole torna, amore mio. Sarà così anche domani!
ROMEO Senza di te il domani non ci sarà. E se pur ci fosse sarebbe solo “tempo”, dimenticato in giro da un creatore smarrito per l’immenso dolore della tua perdita.
GIULIA Ma…se un miracolo, uno di quelli che la notte cela in segreto, ti concedesse un’altra occasione? (uscendo allo scoperto) Se ancora una volta potessi affidarmi i tuoi sospiri, i tuoi più intimi pensieri? (sedendoglisi vicina) Se un’ultima volta potessi cercare nei miei occhi il sogno profondo dell’anima tua?
Se potessi, se potessi…
ROMEO Un dono mi fai, astro incantato, che rende concreti i miei stanchi respiri e muove nelle sue forme i cupi vapori del silenzio. Ecco: (esegue) accarezzo la spalla che crei col suo sembiante, sfioro il suo collo perfetto, gioco con capelli che inventi meravigliosi come i suoi, mi perdo in uno sguardo e nelle sue profondità in cerca della dura pietra che sono adesso i miei sentimenti per lei, caldi come l’alito sfuggito a queste labbra. Ultimi aneliti: a raccolta! Andiamo a dimenticarci sulla porta del paradiso e con un bacio chiudiamo questo tormento ed apriamo la porta al sogno!

Si baciano

lunedì 7 febbraio 2011

Priscilla


E' andata.
Non nel senso in cui si usa perlopiù questa espressione, con sollievo e, a volte, soddisfazione.

Alle 4.45 di Sabato m'ha svegliato il dolore per il dito infettatosi dopo il suo morso del mattino prima, l'unico morso che mi abbia mai dato. Mi sono alzato, sono andato nello studio, dove l'avevamo lasciata per affrontare un'altra notte, forse l'ultima, con la solitaria dignità dei gatti. Appena ho aperto la porta l'ho vista. O meglio: ho visto il suo corpo inerte e spento. Priscilla non c'era più, non era più lì dentro. Non era più con noi attraverso i suoi occhi, la sua voce, le sue fusa... La casa è innegabilmente più vuota, piena solo di oggetti. L'affetto che ero abituato a dedicarle, il piacere di una visita ricambiata, l'acqua che beveva direttamente dalle mie mani riunite a conca, il pezzetto di biscotto conteso per gioco con divertimento condiviso, la comunicazione sonora quasi verbale, affogano nel silenzio come mani vuote, come braccia lasciate andare.
Dopo avermi inferto l'unica ferita in 12 anni di convivenza è uscita di casa in una scatola, come c'era entrata. Anche allora, quando la presi da piccolissima, nonostante l'avessi sollevata per la collottola, con prudenza, prima che riuscissi a deporla nella scatola di cartone era riuscita a riempirmi di graffi che avevo osservato a lungo con un certo stupore: una cosetta così piccola...
E' stupefacente la perfetta simmetria del suo inizio e della sua fine con noi.
Lo so che la incontrerò di nuovo, come Eva, Pulce ed altre compagnie, ma tuttora non è andata via del tutto. La traccia che ha lasciato nella memoria è vivissima, ancora, forte e concreta. Il dolore per l'assenza irrecuperabile della sua compagnia non si può evitare. Anche ad esso voglio bene.
E' andata. Col tempo apprezzeremo quanto fosse importante e grande la sua tutela.
Piccolapiccola se n'è andata, in un luogo che non richiede viaggio né permanenza.
Per noi, solo per noi, è troppo presto per raccontarcelo con serenità, ma prima o poi, qui dove lo scorrere del tempo ha un significato, ricorderemo con simpatia e gratitudine gli aneddoti, le piccole abitudini, i guai e le gioie condivise.
Prima o poi.
Prima o poi.

Alcune foto
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lunedì 31 gennaio 2011

Un libro: "Se"

Ho raccolto 4 mie commedie in un libro.

In generale l'idea è nata dall'esigenza di presentare le mie cose in modo un po' più formale dei soliti fogli stampati in proprio e tenuti insieme da una grappetta; nel farlo mi sono reso conto delle mille difficoltà che s'incontrano nel preparare "un vero libro", pur già disponendo del testo vero e proprio. Un mucchio di cose da fare, di particolari di cui preoccuparsi, non avrei mai creduto... (fai la copertina, descrivi sommariamente il contenuto, metti una prefazione...e i Ringraziamenti? E' il primo libro, non puoi dimenticarteli! E formatta il testo, le pagine dispari compariranno a destra...etc. etc. etc.)
Però, alla fine ce l'ho fatta ed il risultato è stato, nel suo piccolo, emozionante, un po' come se adesso le parole che ho scritto avessero acquisito un peso, un valore in più. Altrettanto sorprendente è stato il riscontro anche da parte di gente che già è al corrente del mio impegno teatrale: complimenti, apprezzamento per la copertina, domande, curiosità... Beh, per una volta lo sforzo è stato immediatamente gratificato da un'accoglienza piena di simpatia.
Ora si tratta di vedere come sarà il flusso di ritorno: i commenti di coloro che leggeranno le commedie (e ce ne vuole di coraggio; io stesso, che ne faccio uno dei miei interessi principali, trovo che il teatro è una lettura difficile e spesso noiosa...).
Sempreché qualcuno le legga.
Un altro argomento è rappresentato dal "fatto editoriale", il lato (potenzialmente) commerciale della cosa. Ho un bel ripetere che non l'ho fatto per "vendere libri", che se uno vuol leggere le mie commedie può benissimo trovarle in internet, scaricabili e leggibili, senza spendere una lira; che chi fa teatro ormai non va più in libreria a cercare un libro, ma si mette sui motori di ricerca; che non ho mai fatto niente "per soldi" e non penso di cominciare adesso. Insomma, un sacco di spiegazioni che servono più a chiarire a me stesso perché l'ho fatto (o soprattutto: perché NON ho fatto scelte diverse), che a dare una risposta convincente a chi me l'ha domandato.
Ma intanto adesso il libro esiste, è una creatura in più, misteriosamente impastata della neutra inattività dell'oggetto e dell'emotività contagiosa del racconto.
Strana bestia.