mercoledì 6 aprile 2011

Impressioni dall'ascolto della 9a sinfonia di Mahler diretta dal M° Pappano con l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia.

La prima riflessione è la meraviglia per la capacità di un uomo di concepire, costruire, tramandare qualcosa di simile.
Il 1° movimento sembra la versione viennese de "La Valse", il 2° (od il 3°, potrei confondermi; controllerò) che esordisce col suo tema un po' grassoccio in contrasto con l'estrema eleganza di movenze del precedente e che si conclude con un'elaborazione cubista di questo tema; il 4°, poi, estremo atto d'amore, lungo abbraccio che si sfina sino a diventare diafano e rarefatto... Come ha potuto Gustav, dopo un adagio di tale sovrumana bellezza, concepire quello della Sinfonia successiva? Non sorprende che dopo tale sublimazione non sia riuscito a completare la Decima. Non conosco i dettagli biografici annessi a questa incompiutezza, ma già solo il raggiungimento dell'estrema propaggine dell'empireo astrale che gli riuscì, rende difficile credere che un essere umano possa trovare dentro di sé le energie per ripartire, per dare una veste diversa, più completa forse (ma da che punto di vista?) al nuovo mondo sonoro che aveva estratto dalle proprie corde più profonde.
La seconda riflessione è dedicata all'esecuzione di eccezionale livello dell'orchestra che dopo 15 anni almeno, dall'ultima volta che l'avevo ascoltata, mi ha sorpreso con un suono caldo, pieno, brillante quando serviva, duttile e, soprattutto, precisa in ogni momento. Non me l'aspettavo; mi ha colpito tanto da distrarmi dalle scelte esecutive di Pappano. Acquisterò il CD, quando uscirà, per poter riascoltare con calma i passaggi, i momenti... e lì concentrarmi meglio sull'interpretazione. E poi, stavolta: "io c'ero!"

venerdì 1 aprile 2011

Nel tempio dell'ombra

Nel tempio dell'ombra
un soffio d'aria
sfuggito alla presa degli alti rami
scende a trafiggerti con un segreto messaggio
da parte del Sole
racchiuso in te stessa.

"In viaggio con la Zia" di Graham Greene

Ho finito di leggere "In viaggio con la Zia" di Graham Greene, uno dei libri più godibili che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni. La vicenda che porta Henry, direttore di banca cinquantenne da poco in pensione, in giro per il mondo alle costole (o "al guinzaglio" ?) della disinvolta Zia Augusta, strappandolo alla sua nebbiosa esistenza inglese ed alla sua passione per la coltivazione delle dalie per gettarlo in una serie di viaggi sempre meno stravaganti e turistici e sempre più equivoci, è un percorso di crescita gestito da un autentico maestro dell'ironia e dell'approfondimento psicologico, dissimulato dall'apparente leggerezza con cui i suoi personaggi frequentano la vita di tutti i giorni.
E' lo stesso autore di "Il nostro agente all'Avana", "I profughi" e tanti altri titoli, in ognuno dei quali mostra la capacità quasi camaleontica di passare da un genere all'altro come se si trattasse di autori diversi.
Greene è uno dei miei autori preferiti e quando trovo un suo libro che mi sembra di non aver letto, lo prendo; strano a dirsi con Greene non mi capita mai di comprare due volte lo stesso titolo, cosa che invece m'accade di frequente con altri. Va detto che oggi le sue opere per lo più non sono roba da libreria, ma piuttosto da bancarella, il che ne rende l'acquisto meno impegnativo, anche se, comunque, non fa mai piacere scoprire che il libro appena acquistato già si trova nella libreria di casa.
In questo caso, come capita con i libri ben scritti con cui si fa amicizia, che fa piacere sentirci parlare in testa, rallentare la lettura verso la fine non è servito a niente, tanto autentica e naturale scorreva la narrazione, da impedire che il corso naturale di quella vita potesse essere alterato in qualcfhe modo dalla maggiore o minore speditezza nel leggerla.
Beh, insomma... Mi aspetto che chi l'ha letto, o lo leggerà, ben poco d'accordo potrà essere con la definizione di "corso naturale di quella vita" da me applicato alla vicenda narrata in questo libro. In effetti lo sguardo di Henry scorre sui fotogrammi dei suoi viaggi con Zia Augusta come quello di un bambino sempre a contatto con paesaggi e persone esotiche e strabilianti, appena temperato dal distacco acquisito ed a lungo esercitato in un passato bancario pluriennale; tutto scorre ad una velocità soggettiva piuttosto "a salti" tanto da far sembrare che un vero fil rouge non ci sia, mentre invece, naturalmente, c'è e non è neanche particolarmente nascosto; la logica del racconto è solo un po' dissimulata e mascherata con così poco impegno da far sembrare superflui certi elementi che poi alla fine si rivelano importanti.
Ho salutato quest'amico che m'ha fatto compagnia per un bel po' di tempo; la malinconia per l'abbandono è in parte stemperata dalla coscienza della sua esistenza e dal fatto che condivido con altri la conoscenza di queste persone: Zia Augusta, Visconti, O'Toole, Wordsworth, eccetera; un giorno incontrerò qualcuno che li ha conosciuti e ne condividerò i ricordi e le impressioni.
Se io fossi Graham Greene mi sentirei particolarmente elogiato dal fatto che qualcuno parla dei personaggi che ha inventato come se si trattasse di persone vere.